Scontro sindacati imprese per continuità produttiva 2 mila realtà

Ancona 29 marzo.-Duemila imprese marchigiane, escluse dalla lista dei settori essenziali ricompresi nel decreto sul coronavirus, hanno chiesto alle Prefetture di poter proseguire nella loro attività produttiva. E questo garantendo condizioni di sicurezza ai loro dipendenti e ai fornitori. Ma i sindacati confederali non ci stanno e stigmatizzano il comportamento delle aziende in questione : “Consideriamo preoccupante e irresponsabile che cosi tante imprese abbiamo fatto questa scelta – dichiarano Cgil, Cisl e Uil : un numero esageratamente elevato considerato che in questi giorni ogni cittadino dovrebbe restare a casa, per il bene di tutti”.

Secondo i confederali le attività suddette vanno sottoposte a rigorosa verifica, così come vanno “individuate e punite le forme elusive, come il cambio dei codici Ateco, a cui si può fare ricorso”.

Naturalmente Cgil Cisl e Uil attaccano anche le associazioni datoriali, e in particolare Confindustria per aver – secondo loro, incoraggiato tali richieste che sarebbero ispirate ” a logiche produttivistiche di bassa lega, senza considerare anche gli effetti di concorrenza sleale nei confronti di altre realtà.”  Per i sindacati la salute viene prima di tutto. Ma questo vale anche per Confindustria, che proprio due giorni fa aveva ribadito la necessità di andare avanti nel lavoro. Con il Comitato Piccola Industria che aveva sottolineato il rischio , in caso di sospensione totale di “un disfacimento del tessuto produttivo”, di disoccupazione e di forti tensioni sociali.

Chi ha ragione ? Ognuno ovviamente fa la sua parte, con le organizzazioni dei lavoratori che hanno messo la tutela della salute dei dipendenti al primo posto e le associazioni datoriali che spingono per una continuità operativa che eviti la flessione dei ricavi e l’ampliamento di una crisi economica già peraltro molto avanzata, in diversi comparti e distretti marchigiani. Tutti crediamo, si augurano un’uscita rapida dall’ennesima emergenza per il territorio, questa volta sanitaria. Ma questo dipende dalle scelte politiche locali e nazionali.

 

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